“BIANCO”: una tela “bianco merda” che scatena tempeste emozionali

Grande successo, sottolineato da scroscianti applausi, di “Bianco”, liberamente ispirato al testo ART di J. Reza, al “Nuovo Teatro Sipario Blu” di Catania, domenica 21 aprile in doppio spettacolo, con la scrupolosa regia del sensibile Sergio Campisi.

L’arte scardina la psiche umana: meraviglia e potere insieme.

“Una merda bianca”, definisce così la tela, in uno scatto rabbioso, il mansueto Valentino. Un quadro bianco, con piccole striscioline bianche, su un fondo bianco: una merda da duecentomila euro, come sbotta il geloso e cinico Miguel.

Il capolavoro della pittrice Martin, dove il sapiente Diego vede arte ed emozione

Un testo originale, innovativo, energico, incalzante, coinvolgente dove la bellezza dell’arte, non è soltanto negli occhi di chi guarda, ma pure nel cuore di chi è capace di udirne le vibrazioni intime, la luce intensa dell’anima delle cose.

Su quella tela, tre amici sfogano rabbie, gelosie, frustrazioni: essa diventa metafora di vita scardinando, attraverso l’occhio attento dell’arte, tre personalità profondamente diverse seppur inestricabilmente legate l’una all’altra da un affetto che va oltre ogni possibile fraintendimento.

“Bianco è un viaggio per riflettere sul valore dell’amicizia, sulla natura stessa dell’arte, e sulla complessità delle relazioni umane. Lo spettacolo pone sotto i riflettori l’arte nelle sue sfaccettature, conducendo un viaggio alla riscoperta della nostra vera essenza e al valore dell’amicizia, che come un’opera d’arte, è un capolavoro fragile e prezioso che richiede sempre cura ed attenzione”, scrive Sergio Campisi nelle sue note di regia.

Impreziosito dalle belle ed appropriate musiche di Elisa Rasà, le scenografie (tre ambienti delle abitazioni dei tre amici) ed il progetto grafico sono di Pappapane, il disegno luci di Damiano Scavo, la consulenza coreografica di Ismaele Buonvenga, l’aiuto regia di Margherita Malerba, assistente alla regia serena Giuffrida, direttore di produzione Manuel Giunta.

Sul palcoscenico, inoltre, abbiamo potuto ammirare opere pittoriche di Alba, Chiara Bruno Layers, Mirko Puliatti La Danza e Roberta Sottosanti.

Uno spettacolo divertente, a tratti ironico ma allo stesso tempo riflessivo ed introspettivo; pezzo dopo pezzo, compone il puzzle di tre giovani vite che si incontrano e si scontrano davanti ad una tela scarna ed incolore.

L’intransigente ed egocentrico Miguel, ben caratterizzato da Amedeo Amoroso, sminuisce, offendendo, la scelta artistica dell’amico Diego: Miguel si sente messo da parte.

L’attenzione e l’affetto per lui viene oscurata da una tela anonima, un’offesa alla tasca e all’intelligenza di Diego.

L’intellettuale, saccente Diego, reca il volto e il cuore dell’attore Salvatore Gabriel Intorre. Un’interpretazione credibile e sicura la sua, piena di sfumature che lo spettatore può ben cogliere attraverso mimica e gestualità. Egli intende far comprendere all’amico Miguel che l’arte non è ciò che vedi concretamente ed oggettivamente, ma è ciò che cogli, ciò che senti: arte è emozionarsi ed emozionare, arte è lo scatenarsi di tempeste emozionali al di là di ogni possibile raziocinio.

Il tenero ed indeciso Valentino, la cui vita viene cullata dall’incapacità di scegliere e dal dovere di compiacere, per forza, l’altrui ego: il suo è un “sì” detto a tutti ed un continuo “no” detto a se stesso. Da qui il suo “mal de vivre”, la necessità di dover ricorrere alle continue sedute di psicoterapia per scaricare la frustrazione dell’anima.

L’attore Anthony Foti nel ruolo di Valentino è assolutamente impeccabile: il tic di aggiustarsi continuamente gli occhiali rivela il nervosismo scaturito dalla sua inadeguatezza ad uscire da quel limbo di insicurezze da cui non può e non vuole uscire. Anche nei confronti della promessa sposa Delia, l’attrice Margherita Malerba, dimostra il suo stato di sottomissione consapevole: compiacere il prossimo crea ogni sorta di male.

I tre amici in scena si insultano, si azzuffano, ballano, ridono, si stuzzicano, si divertono, riflettono e fanno riflettere sul valore dell’arte come paradosso e metafora di esistenza, di aggregazione, di stimolo a migliorarsi, di consapevolezza del valore sacro dell’amicizia in un gioco gradevole ed incalzante: mai banali, sempre attenti a non abbandonare il proprio personaggio. Grande affiatamento fa delle loro performance un lavoro vincente da vedere e rivedere per cogliere altre sfumature che ci sono sfuggite, in quel turbinio di esaltazione dell’io che diventa infine noi.

Come sempre eccelsa, autorevole ed assolutamente padrona della scena è l’attrice Liliana Biglio nei panni dell’elegante ed orgogliosa madre di Valentino: esilarante la suoneria del suo cellulare, La Lacrimosa di Mozart.

Grandi applausi sottolineano la buona riuscita di uno spettacolo nuovo, intelligente e ben fatto.

E’ questo il teatro che vorremmo sempre trovare.

Si usano gli specchi per guardarsi il viso, e si usa l’arte per guardarsi l’anima.
(George Bernard Shaw)

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