Il trionfo dell’ItalDavis

5 febbraio 1990. Paolino Cané, nel tripudio di una Cagliari talmente in delirio da far vibrare gli altoparlanti del mio vecchio televisore, dopo 17 ore complessive di sfida Italia-Svezia, ha la meglio sul campionissimo Mats Wilander. Paolino ha un crollo di nervi, piange, perde i sensi, i compagni di squadra lo sostengono a braccia per non farlo rovinare a terra. È ridotto uno schifo perché per battere Mats Wilander  ha dovuto fare di tutto, anche tuffarsi sulla terra battuta di Cagliari come se si trovasse sulla sabbia di una spiaggia di beach volley. È l’eroe di tutti perché delle sue doti tecniche nessuno discute ma la sua tenuta nervosa è sempre un’incognita. Non per niente qualche addetto ai lavori lo chiama “NeuroCané”, qualcun altro “l’ultimo dei nevroromantici”. Capitan Adriano Panatta lo abbraccia commosso, Gianpiero Galeazzi commenta al suo solito con grande pathos ed emozione: “è una vittoria incredibile!!! Sembra di aver vinto la Coppa Davis e non di aver superato il 1° turno”. Già, il 1° turno… Era soltanto il 1° turno ma io ero in lacrime, tutti erano in lacrime, lacrime di gioia, di quella gioia che lo sport regala, talvolta. E provavo una profonda gratitudine per quell’uomo che aveva affrontato tutti i suoi demoni, per noi, per sé stesso, per il suo Paese. È da sempre questo il prodigio della Coppa (per nazioni) Davis: riesce a trasformare lo sport (per sua stessa natura) più individualista del mondo in un eroico estenuante sacrificio per la collettività. “Una partita scritta da Hitchcock […] anche noi professionisti abbiamo sentito la gara, non lo neghiamo” commenta ancora il grande Gianpierone.

26 novembre 2023. L’Italia affronta l’Australia nella finalissima di Malaga. Il format del torneo è cambiato tanto e non entusiasma nessuno. Ma siamo lì, ad un passo dalla storia del tennis. E a commentare chi c’è? Proprio quel Paolino Cané che in campo soffriva come un dannato. Speriamo, mi dico in cuor mio, di patire un po’ meno. Si è già sofferto nella rocambolesca e per certi versi epica vittoria di Sonego alle qualificazioni, si è sofferto ai quarti di finale contro l’Olanda, quando Arnaldi ha sprecato 3 match ball perdendo l’ultimo set al tie-break; si è sofferto in semifinale con Musetti, il quale, dopo aver vinto di carattere il primo set contro il serbo Kecmanovic, si è strappato ed ha perso il match (e la mente non ha potuto evitare di andare tristemente alla sfortuna di Gaudenzi nella finale del 1998 contro la Svezia). L’unico che non fa soffrire, mai, è Yannick Sinner. Persino contro Djokovic, n° 1 al mondo da 400 settimane (!) la partita è stata combattutissima (ovviamente), sempre sul filo di lana (ovviamente), delicatissima (ovviamente) con 3 match ball annullati, ma la sensazione era quella di un ragazzo così preparato, così talentuoso, così solido psicologicamente da sapere in ogni momento cosa fare, anche contro il n° 1 del mondo e dell’intero sistema solare (se negli altri pianeti si giocasse a tennis).

Ci siamo. Sono trascorse le 16 da un po’ quando Arnaldi inizia il match contro Popyrin. È una partita di importanza capitale ed entrambi avvertono la pressione giocando veramente male. Partita bruttissima, numero di errori impressionante da una parte e dall’altra, prima di servizio di Arnaldi quasi sempre a rete. 1 set pari. Comincio a temere che il nostro giocatore non si riprenderà più e che andremo sotto di 1 punto, costretti ancora una volta alla rimonta. Ma questo ragazzo, nella sua discontinuità, ha dei momenti di reattività e di coraggio non comuni. Così trova dentro di sé la forza per riprendere la partita in mano e farla sua. A quel punto esulto come se avessimo già vinto. Perché è il turno di Sinner e mi sento tranquillo come un monaco tibetano che ha appena bevuto 1 litro di tisana alla passiflora, melissa e camomilla messe insieme. E quasi ci resto male. Ma come? Per me la coppa Davis equivale da sempre a soffrire come una bestia! Ma com’è possibile? È possibile… grazie a Sinner. 2 set di una tranquillità disarmante (pur contro un De Minaur n° 12 del mondo, mica il primo fesso che passa): 6-3; 6-0 e via a festeggiare. Il telecronista Marco Fiocchetti e Paolo Cané si mettono a piangere, si abbracciano, chiedono aiuto allo studio per poter gestire le emozioni. Io, dentro di me, mi sento in totale sintonia con loro. E con Gianpierone. Se è vero che un pezzo di questa coppa possiamo anche noi appassionati sentirlo come nostro, ebbene, questo mio pezzo è proprio a Gianpierone Galeazzi che lo voglio dedicare. Per tutte le emozioni, sane, gioiose, genuine che ha saputo trasmetterci.

Son trascorsi 47 anni dall’ultima vittoria in Davis. Nel 1976 gli azzurri al loro arrivo in patria vennero accolti in modo gelido. Polemiche ideologiche sterili avevano creato un clima terribile. A causa del regime sanguinario di Pinochet, secondo molti, si doveva boicottare la finale regalandola di fatto al Cile. Non sapendo che, proprio grazie a quella partita (come ricordato nel docufilm “La squadra”) si avviarono negoziati che salvarono le vite di molti prigionieri politici (infatti lo stesso partito comunista cileno sconsigliava il boicottaggio). Insomma una vittoria meritatissima ma con molto amaro in bocca. 47 anni dopo la sfida di Santiago del Cile e dopo ben 6 finali perse, la coppa arriva finalmente a Fiumicino e l’atmosfera è senz’altro diversa, se lo meritano i ragazzi. In conferenza stampa Sinner spiazza tutti con una saggezza ed una delicatezza che vanno ben oltre i suoi 22 anni. Rivolge il primo pensiero a Tathiana Garbin, capitano dell’Italia femminile (recente brillante finalista della Billie Jean Cup) alle prese con un brutto tumore. Le dedica la vittoria e aggiunge: “abbiamo fatto la storia. Ma quello che conta nella vita è altro”. Chapeau.

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