La figura femminile all’interno di quelli che si definiscono percorsi migratori oggi, ha un’ imponente presenza che va assolutamente rilevata perché a beneficio di una comunità che può cambiare e vuole cambiare abbattendo barriere e confini. Parlerò nello specifico poiché la tematica è molto ampia e varia attenendomi a ciò che vedo nel quotidiano grazie alla mia professione attuale ed anche a ciò che mi sta intorno come collettività femminile poiché le testimonianze stanno sempre alla base di un sapore, il sapore del cambiamento.
Faccio l’educatrice e mi occupo anche di percorsi di formazione all’interno di una Casa famiglia nella regione dell’ Alto Adige, tra i monti dalle cime aguzze, lontano dal mare; ma il mare, ricordiamo è sempre fuori anche se non lo vedi, lo senti.
Premetto che questo mio lavoro io l’ho scelto e lo considero il lavoro perfetto poiché lo sognavo e l’ho coltivato sin dall’età più pura e sono stata anche fortunata a poterlo praticare.
La prevalenza numerica di donne all’interno di questi centri di accoglienza è al femminile, donne con bambini e poi ci sono gli uomini che le accompagnano ma il sesso prevalente è fatto da donne. Guardare queste donne ti fa venire voglia di futuro premesso certamente che vanno accompagnate, orientate alle scelte, seguite come le mamme fanno coi loro bambini ma, la soddisfazione spesso è grande perché da ragazzine accolte come delle creature piccole, indifese, incapaci di muovere i primi passi e di decidere ciò che è meglio per accendere una possibilità di futuro, le ritrovi improvvisamente come dei fiori sbocciati pronte a provare la vita che sta fuori da un potenziale Centro di zona confort.
Il ruolo di noi educatori, operatori, servizi, assistenti sociali, pedagogisti, psicologi che animiamo le reti intrecciate di questa realtà sociale è convincere queste ragazze, queste donne che la speranza è riuscire a guardare fuori al futuro con la voglia di viverlo da protagoniste in modo attivo e riuscire a dare un senso al sacrificio di quello che è stato il loro cammino di migrazione motivato per molte dalla necessità di fuggire per non morire o per tentare una strada differente alla sudditanza ed al patriarcato, andare via dalle radici per avere un futuro più produttivo anche per chi è rimasto, studiando e lavorando, vivere alla luce dei diritti e della libertà e tanto altro ancora.
Vedo ogni giorno donne che non si fermano un attimo per cercare di fare funzionare al meglio la loro giornata tra figli, scuola, corsi di lingua, ricerca lavoro e ricerca casa; altre che potrebbero fare tanto ma si adagiano e si accontentano di vivere una vita di stenti senza lottare e sfruttare le risorse che si hanno intorno; altre ancora che attivamente abbattono le barriere, si raccontano, vivono alla luce di un presente fatto di speranza, la speranza che tutto può cambiare ma solo se sei tu e solo tu a volerlo.
Quella che sento è la voce femminile incalzare e non per dire che l’ emisfero maschile non abbia voce ma, il ritmo più prepotente è quello al femminile probabilmente perché la lotta dei tempi è stata più sfrenata ed audace per raggiungere pari opportunità, diritti e riconoscimenti. Ad oggi mi viene da dire di non fermaci, di non abbassare gli occhi dall’ orizzonte e di continuare verso la via dell’ autonomia intrapresa.
Tutto può cambiare ma solo se a volerlo siamo noi, fuori è bello ma solo se a cogliere questa bellezza tanto rara, sono gli occhi giusti.