L’ULTIMA PAGINA di Antonio Sidoti vince il premio Gattopardo.

Ennesima soddisfazione per la vittoria al “Ciminna Cort Fest” del premio Gattopardo consegnato al regista Antonio Sidoti durante la serata conclusiva del 29 Agosto 2023 scorso.

Una serata all’insegna della cultura, della musica e del cinema in ricordo del legame del borgo siciliano alla regia dell’indimenticato Luchino Visconti e che ha visto partecipi diversi nomi della cinematografia nazionale (Donatella Finocchiaro attrice e simbolicamente madrina della serata per la consegna dei premi, Aurelio Grimaldi affermato regista che ha curato la direzione artistica del festival insieme a Emma Cicala e alla casa di produzione Arancia Cinema), il complesso bandistico Giuseppe Verdi e i registi finalisti in lizza per il premio con i corti “MARCELLO” (Francesco di Giuseppe), “L’ULTIMA PAGINA” (Antonio Sidoti), “IL RICHIAMO DEL VUOTO” (Nora Trebastoni) e “LA MIA TERRA DI NESSUNO” (Francesca Belli).

Il cortometraggio L’ULTIMA PAGINA, della durata di circa dieci minuti, è incentrato sulla visione di un mondo distopico dove i due protagonisti, fratello e sorella, vivono sentimenti opposti ma incontrastati perché entrambi intrisi di paura, speranza e desiderio di libertà in una realtà apocalittica alla ricerca della propria o altrui salvezza. Quella di lei, una ricerca pragmatica e risoluta; quella di lui, più intima e pacata quasi arrendevole, capace paradossalmente di perdersi nell’attesa; un ritaglio di vita possibile, un seppur istantaneo appagamento dato dalla contemplazione di una pagina di libro o di ciò che è rimasto, si affidano così, al desiderio di un futuro migliore nel luogo dei sentimenti di nostalgia e ricordo, di poesia e sogno che possono fare ancora ben sperare. 

Ed è proprio la non esplicitazione di un luogo ben definito e circoscritto che muove le fila dell’intreccio spostando il contesto di scena in scena e insieme ai personaggi: ora pare l’ingresso di un parco comunale, ora una grande piscina privata della fonte vitale d’acqua, ora l’atrio di un edificio, ora un cortile, ora una biblioteca, ora un garage sotterraneo, ora un retro bottega; tutti accomunati da devastazione e desolazione dove la minaccia è sempre alle calcagna e dietro l’angolo, dove, il rifugio nella memoria e nel ricordo dei propri genitori si dichiara durante la lettura del libro di poesie e di quell’ultima pagina che resta in sospeso per dare priorità allo spostamento e, insieme a lei, sopravvivere perchè venga letta, un giorno. Un’ultima pagina che diviene il conforto in un onirico ordine mentale più che in un delirio o stato confusionale che ci si potrebbe aspettare date le circostanze, chiarificando il contesto stesso in cui si dibattono i due protagonisti.

Se, da una parte, lo scenario appare crudo, spietato e privo di ogni immagine di rivalsa e spiraglio, dall’altra, l’occhio della cinepresa punta all’orientamento: un continuo e disperato rimando ad un climax che stenta ad arrivare e quasi lo si reclama, porta inevitabilmente a vedere oltre e oltre l’occhio della cinepresa stessa in una disperata  corsa contro il tempo e la persecuzione, alla ricerca di altre porte da abbattere per un possibile riscatto e pur oltre l’inevitabile morte. Come nella vita di tutti i giorni: alcune porte si aprono o si spalancano facilmente, altre, restano serrate e rappresentano opportunità o impedimenti o ancora direzioni diverse da valutare e percorrere in fretta.

Tuttavia, fin dall’inizio, il passo incede cauto e lento, quasi disinvolto; sottolineato dalle musiche in sottofondo che ne restituiscono, ancora per contrasto, immagine di serenità e dolcezza come durante una passeggiata in mezzo ad una natura incontaminata che in realtà, ora, è tutt’altro. Ecco il canto degli uccelli, un soffio d’aria leggera che muove polvere e fogli di carta straccia come foglie al vento e un gattino disorientato muoversi tra le macerie. Figure che accendono sentimenti di leggerezza, tenerezza e solidarietà e si inseriscono in un intorno di desolazione quale messaggio di pace e speranza in opposizione a tutto ciò che di catastrofico è accaduto e sta ancora accadendo.

E’ inevitabile l’accostamento a L’ultima spiaggia (1959) di Stanley Kramer, film ben accolto e lodato dalla critica, e dei suoi due protagonisti, un ufficiale americano interpretato da Gregory Peck e una giovane donna australiana, Ava Gardner. Più che per forma e sceneggiatura o per l’atteggiamento dei due attori principali (qui una dolce, disincantata e compassionevole Tea Bruno e un nostalgico e tenero Fausto Ferrante), per la rievocazione dei contenuti e per l’approccio significativo ma attualizzato degli intenti.

Così, L’ULTIMA PAGINA di Antonio Sidoti, ci conduce ad una commozione universale e ad un crescendo di emozioni accentate dalla musica e dalla colonna sonora composte ad hoc da Alessandro Cavalieri. Musiche che si sposano, ora dolci ora impetuose, ancora e stavolta fino ad arrivare alla scena conclusiva in cui il regista incentiva al coraggio e all’affronto del pericolo di morte in un mondo apocalittico apparentemente privo di alternative, aprendo una porta allo spettatore a cui chiede solidarietà ed empatia nell’importante missione da portare a termine al fine di intercettare la possibilità di un nuovo domani, un nuovo mondo, diverso, privo di ignoranza e malvagità e che sia, comunque, eterno. Un cortometraggio che ci offre la possibilità di riflessione su questioni importanti della vita e della civiltà dove molto di noi resta e nulla, in realtà, è mai perduto. 

In un breve incontro con Antonio Sidoti (in foto sopra) ho chiesto:

  • L’ULTIMA PAGINA ha conquistato un altro successo vincendo il premio Gattopardo 2023. Come ti poni di fronte a questa nuova vittoria? 

             “Con riverenza. Mi reputo molto fortunato. Ho potuto lavorare e portare sullo schermo qualcosa che rispecchiasse i miei gusti. Un progetto così personale che sta riuscendo a portare a casa svariate vittorie importanti, mi restituisce innanzitutto commozione. Non è facile nel panorama cinematografico odierno.“

  • Cosa pensi che il pubblico apprezzi di questo cortometraggio e cosa i critici?

“Azzardo il pensiero che il pubblico, innanzitutto, apprezzi una sorta di evasione dal solito genere all’italiana sia per il mio lavoro che per quello svolto da altri colleghi e ben più esperti di me. Mi sento dire spesso che è una storia che non hanno mai visto, nel senso letterale di messa in scena e azione, che riesce a mantenere un suo cuore e una propria emotività. Cerco, prima di tutto, di essere pubblico io stesso perchè arrivi ciò che voglio trasmettere. Mi gratifica immensamente che i critici stiano puntando l’occhio sul nucleo e sulle tematiche che voglio esprimere prima ancora dell’aspetto estetico o esteriore che è meramente frutto di un mio gusto di genere. Fortuna che accada. Non sempre l’opera di un regista viene compresa in toto.”

  • Ricorre spesso la parola fortuna nel tuo dire sintomo di umiltà e voglia di crescere oltre che di fare e bene. Credi nel destino? Come entra nella tua carriera artistica?

              “Come diceva John Connor nel film Terminator, il destino non  esiste ma è quello che ci scegliamo. Per me è stato così. Ho scelto la strada complicata del fare cinema e ogni giorno cerco di perseguirla e onorarla al meglio delle mie potenzialità, delle forze e dei mezzi attuali. Credo che sia così per la maggior parte di chi vuole intraprendere una carriera artistica partendo dall’Italia o meglio ancora dal proprio paese d’origine.”

  • Cosa è fondamentale per te quando sei sul set e dirigi una scena?

“Di sicuro, proprio per il mio gusto nei confronti di un cinema di genere molto specifico come può essere la fantascienza, l’action, l’horror, etc. per me è fondamentale calare gli attori in quel determinato mondo perchè i film di genere sono piccoli mondi che devono essere restituiti al meglio delle loro possibilità proprio perchè sono realtà alternative ed esterne alla nostra percezione specie quella dei non addetti ai lavori. Ricerca del dettaglio nel modo più specifico possibile per donare un mondo che funzioni e dove i personaggi non siano solo interpreti ma veri attori ovvero credano essi stessi in quello che sta accadendo sulla scena. In seconda battuta ma non meno importante, la scrittura. Mettere nero su bianco in modo esaustivo e credibile ciò che la sceneggiatura vuole rappresentare attraverso un occhio registico attento ai minimi particolari.”

  • Come collochi la predilizione del genere sci fi e un eventuale soggetto nella cinematografia attuale e nel tuo modo di fare regia? 

“Nostante io sia un fervente ammiratore e amante del cinema di genere come lo si intendeva negli anni ‘80-90 dove regnavano i blockbuster, gli horror, la fantascienza sperimentale di Blade Runner, etc, ormai è inevitabile notare che ci sia una fusione e una sorta di commistione di generi dagli anni duemila in poi specie con l’avvento di Cine Comics. Basti pensare all’ultimo Doctor Stranger diretto da Sam Raimi o ad un Cowboys & Aliens di Jon Favreau dove si mischiano orrore al fumetto e fantascienza al western. Ormai il genere si confronta con la storia senza il timore di mixare. Penso che il genere debba asservire la storia e quindi è la storia stessa il vero genere che potrei preferire. Un soggetto dove i vari personaggi e il singolo (il regista) riescano a passare dall’ordinario allo straordinario attraversando luoghi inimmaginabili. Un esempio calzante di esperimento ben riuscito in questi termini è secondo me il film Forrest Gump che va dalla commedia al dramma, dalla fantasia alla amara e cruda verità di una guerra.”

  • Progetti futuri?

 “ Ancora fortuna dalla mia parte. Attualmente sono coinvolto in diversi progetti a medio e lungo termine in reparto regia per Netflix, Mediaset e altre case di produzioni indipendenti che mi hanno accolto benissimo. Mi diletto continuamente a scrivere da lavoratore dello spettacolo e in questi mesi sto lavorando già alla seconda stesura di un mio lungometraggio alla mia maniera e conto di averlo pronto a breve per una eventuale presentazione.”

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