È arrivato in questi giorni in libreria, a cura di Francesca Borghetti per la casa editrice Garzanti, «Ero roccia, ora sono montagna. La mia battaglia per la libertà delle donne in Iran e nel mondo», l’ultimo atto del racconto biografico di Nasim Eshqi, l’alpinista iraniana già protagonista del documentario Climbing Iran (2020), premiato alla 69^ edizione del Trento Film Festival 2021, e del podcast in cinque puntate Nasim, Iran verticale (2023), prodotto da RaiPlay Sound e presentato in un evento live al Prix Italia 2023 a Bari. Quella di Nasim, che già nel significato persiano del suo nome – «brezza» – e nella data di nascita del 21 marzo – il capodanno iraniano – sembra portare il proprio destino, è l’esperienza di una giovane nata e cresciuta in Iran, testimone delle restrizioni giuridiche e della repressione culturale imposte dal regime nei confronti delle donne, in osservanza alle prescrizioni governative e alla rigorosa sorveglianza della polizia religiosa. L’autrice, che ha firmato anche il documentario e il podcast, ne ha parlato in occasione della presentazione romana, presso la Libreria Panisperna nel quartiere Monti.
Com’è nato il progetto di raccontare la vita di Nasim?
La storia di Nasim è arrivata otto anni fa, nell’aprile 2016, tramite un articolo, che ha intercettato vari desideri, da antropologa e regista, di raccontare di esperienze e paesi lontani. Ne sono scaturiti, da un lato, la riflessione sull’immagine bidimensionale delle donne iraniane e sull’idea di libertà di Nasim, realizzata attraverso l’arrampicata sulle montagne; dall’altro, l’evidenza del contrasto tra le regole dell’uomo e la legge della natura, in un corto circuito da cui è scattata l’urgenza di sapere di lei e di conoscerla.
Qual è l’idea di libertà di Nasim?
Nasim vive una pulsione innata verso la libertà, che emerge nella formula autobiografica del libro e nel racconto familiare dell’infanzia e dell’adolescenza. I genitori sono insegnanti, hanno un diverso background e hanno conosciuto la situazione dell’Iran prima e dopo la rivoluzione islamica del 1979, e le complessità stratificate nella società circa la condizione femminile e l’interpretazione del cambiamento anche nelle parole, se si pensa ai nomi del Viale della Rivoluzione e a Piazza Azadi, che significa ‘libertà’. Lei non comprende le restrizioni personali imposte dal regime alle donne, e nello sport, inizialmente nel kick boxing, realizza il modo di esprimere sé stessa. Poi conosce la montagna e l’arrampicata diventa il piano simbolico della ricerca di una nuova via. È quanto accaduto nella storia parallela di Ninì Pietrasanta, alpinista italiana negli anni ’20, su cui ho realizzato un podcast nel 2022, ma anche nel percorso di scrittura di questo libro, nella scalata della distanza dalla cultura di un luogo lontano.
Quando nasce in Nasim l’urgenza di parlare della condizione femminile in Iran?
Lei riesce a condurre la propria vita in una sorta di rischio calcolato, osservando le regole e cercando di non attrarre su di sé l’attenzione, da campionessa sportiva e da istruttrice, anche quando guida in arrampicata gruppi misti di uomini e donne, violando la segregazione vigente nei luoghi pubblici. Lo sguardo della polizia religiosa è sempre vigile e temuto: in un episodio del libro, in occasione di un festival internazionale di arrampicata in Iran, racconta di essere stata condotta in commissariato insieme al compagno di cordata, per rispondere sulla ragione dei loro rapporti personali. La sua vita cambia nel 2022, con la morte di Mahsa Amini nel commissariato di Vozara e l’esplosione delle proteste popolari. È la parte finale del libro: come Mahsa, anche Nasim era stata in quel commissariato, dove si può finire pretestuosamente per un controllo o per firmare dei moduli, come era accaduto a lei, spinta dentro una camionetta insieme ad altre donne fermate per motivi diversi e incredibili, nell’assoluta arbitrarietà esercitata dal regime. Nasim realizza che quanto successo a Mahsa poteva succedere a lei, che finora è stata protetta dal rischio di arresto e di pene inflitte, e che è tempo di uscire allo scoperto. Mi contatta e, dopo il nostro incontro, è stato realizzato il podcast. Poi è seguito il libro, oramai facile da scrivere per me, perché arrivava dall’ introiezione e dalla metabolizzazione della sua storia.
Come ha reagito la popolazione?
Nei miei tre viaggi nel Paese ho sentito la fibrillazione della società, soprattutto nei più giovani. La separazione di genere è stata uno strumento per indebolire la popolazione e ostacolare l’opposizione al regime, ma in qualche modo ha tutelato le donne istruite. Ecco perché il motore della rivoluzione è femminile e ha raccolto il sostegno degli uomini.
Cosa può fare l’occidente e quali sono le ricadute di questo lavoro?
Dipende dal contesto internazionale, la battaglia degli iraniani contro il regime non è certo facile, sono lì anche per gli occidentali e gli europei, meritano contributo e incoraggiamento. Oggi è possibile amplificare da un luogo all’altro i messaggi di denuncia e, da questo punto di vista, i social si sono rivelati molto utili. Anche Nasim all’inizio, riportando la propria esperienza, non pensava al cambiamento. Poi il documentario ha agito anche su di lei, emozionandola con la rivelazione delle ragioni che l’hanno sostenuta, e per le quali continua a combattere, lontana dal proprio Paese, dove la sua vita potrebbe essere in pericolo.
Quanto è importante che sia stata una donna a scrivere questo libro?
Molto, perché il racconto di Nasim è un’esperienza di autoaffermazione per chi narra, in ragione della capacità di lettura con cui una donna può parlare di un’altra, raccogliendone con sensibilità la narrazione degli eventi e trasmettendone l’interezza di tutte le istanze – dalla libertà al riconoscimento dei diritti – comuni al genere femminile.