Applausi “meravigliati” venerdì 19 e sabato 20 gennaio, nello spazio artistico Roots, in via Borrello, 73 a Catania per lo spettacolo ‘In alto mare”, regia di Roberto Zorn Bonaventura, prodotto da Nutrimenti terrestri e Castello di Sancio, testo di Sławomir Mrożek. Prima rappresentazione teatrale dell’anno all’interno del cartellone ‘Rigenerazioni’.
Teatro dell’assurdo che poi tanto assurdo non è nei suoi contenuti sociali, ricco di metafore che vedi e che senti e che bisogna interpretare a proprio modo, secondo la propria attitudine e sensibilità.
Teatro che non si ha l’abitudine di applaudire e che si capisce meno e, quasi se ne ha paura. Spesso ciò che non si comprende, si critica.
Eppure, come ci dice il bravissimo regista Roberto Zorn Bonaventura, il testo i Stawormir Mrozek, scritto una sessantina di anni fa, è attualissimo e mostra tutta la miseria, l’ipocrisia, l’inettitudine umana ormai alla deriva, “in alto mare” su di una piccola zattera precaria di nome vita.
I tre protagonisti si studiano guardandosi in cagnesco; lanciano il loro guanto di sfida per la sopravvivere fregandosene se ciò comporta il sacrificio di una vita umana. Gli aspiranti cannibali disquisiscono su chi dei tre debba essere mangiato per salvare gli altri due.
Un testo violento e spietatamente vero che si svilupperà tra argomentazioni politiche e tragicomiche tensioni fino a giungere alla scelta del “capro espiatorio”, nutrimento necessario per una sopravvivenza vuota, incline al crimine, alla sopraffazione, alla disonestà, alla cattiveria più spietata: tutti grandi “meriti” di un essere che chiamiamo “umano” ma che di umanità non conserva più nulla.
Perfino Dio si pentì di averlo creato: “Il SIGNORE vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che il loro cuore concepiva soltanto disegni malvagi in ogni tempo. Il SIGNORE si pentì d’aver fatto l’uomo sulla terra, e se ne addolorò in cuor suo. (Genesi 6:5-6)”.
Meritevoli di un encomio speciale va ai direttori della “Sala Roots”, grandi professionisti e validissimi artisti, Antonella Caldarella e Steve Cable, che scelgono sempre testi mai banali, originali, dai contenuti importanti ed altamente culturali facendo dei veri e speciali doni al loro pubblico attento e con i sensi ormai affinati ad andare oltre ai soliti stereotipi teatrali.
“In alto mare” è un’occasione di crescita costruttiva del proprio io, è una lancia sferzante che si conficca nelle coscienze di ognuno di noi: la metafora del “meglio tu che io”, l’esaltazione dell’egoismo e dell’arrivismo che, a volte diventata spietatezza (come l’essere contenti della morte della propria madre per avere una mera speranza di salvare se stesso).
“In alto mare” è l’inevitabile involuzione e totale declino dell’umanità.
L’attento regista, Roberto Zorn Bonaventura, nelle sue note di regia, afferma che, attraverso la sua comicità surreale e con la metafora antica del naufragio come disgrazia che accomuna, il testo ci restituisce residui di una umanità che si disumanizza istante dopo istante, cercando esplicitamente, sin dalla prima battuta, con logiche di prevaricazione e violenza, la vittima sacrificale che consenta ai due naufraghi che si nominano carnefici, una
illusoria sopravvivenza che nella realtà è ancora un passo avanti verso la fine.
A cura del regista sono pure l’ideazione luci e lo spazio scenico, gli appropriati costumi sono di Cinzia Preitano, le bellissime ed inquietanti maschere di Nathalie Casaert, aiuto regia Gabriele Crisafulli. Si ringrazia per la collaborazione Monia Alfieri e Martina Morabito.
La Locandina è di Riccardo Bonaventura.
La bravissima Giulia De Luca ben rappresenta la maschera teatrale che fa il preambolo dello spettacolo, ci conduce, mano nella mano, nella follia delirante del teatro-vita che “barcolla ma non molla”; diventa poi la postina che a nuoto raggiunge la zattera e reca la missiva infausta (che, nel contesto, diventa buona novella) al povero disgraziato, vittima sacrificale della voracità umana; infine diventa la serva sottomessa al padrone blasonato che nasconde disonestamente il suo blasone.
Lo abbiamo, in passato, apprezzato nel ruolo di Marika, l’istrionico e sempre adeguato Francesco Natoli, supportato da una loquacissima mimica facciale, interpreta uno dei due carnefici, complici subdoli e corde dello stesso strumento di morte.
L’attore Gianfranco Quero ben caratterizza il “prescelto”, cibo – sopravvivenza per i suoi colleghi naufraghi. L’attore è garbato, elegante, con grande dignità scenica. Toccante il suo breve monologo sulla libertà.
Michelangelo Maria Zanghì è in scena il blasonato, finto orfano e freddo “deus ex machina” di stampo cannibalesco. Sicura e quasi militaresca la sua interpretazione in scena. Impeccabile.
La vera libertà si conquista quando cadono tutte le maschere che l’uomo indossa per celare la propria falsità difendendo il proprio nulla. E’ la vera libertà che ha raggiunto la vittima quando si è finalmente scrollata di dosso la paura di lasciare quella vita-zattera spietata e crudele, di mollare quella stretta presa, quel legaccio claustrofobico che lega il nostro libero pensiero ad un’esistenza senza valori, senza moralità.
L’essere umano è un cannibale, il cannibale di se stesso: si nutre della propria essenza insaziabile di energie attinte dal riflesso di se stesso sugli altri, è alla continua ricerca di chi cibarsi per atteggiarsi a migliore, a più forte, a più capace mentre non sa di essere semplicemente una pedina della propria disperazione.
Il primo a scoprire che in ogni uomo c’è del buono fu un cannibale.
(Ivan Della Mea)
Fotografie di scena di Antonella Guglielmino