Grandi applausi per “Il Gabbiano”, liberamente ispirato al testo di Anton Cechov, adattamento e regia di Sergio Campisi e Roberto Costantini, al Teatro Grotta Smeralda di Acicastello – Catania nei giorni di sabato 16 e domenica 17 dicembre c.a.
Sapevano che non saremmo andati ad assistere ad uno spettacolo facile e non era facile per gli autori di questo adattamento semplificare, se così possiamo dire, un testo così drammatico nei suoi contenuti.
Il gabbiano di Anton Cechov è un vero e proprio spaccato di vita ambientato nella campagna russa alla fine del XIX secolo. I personaggi del testo sono insoddisfatti delle loro vite. Alcuni desiderano amore. Alcuni desiderano il successo, altri desiderano il genio artistico. Ma nessuno sembra mai raggiungere la felicità.
Ambientato in una tenuta vicino ad un bellissimo lago che è di proprietà di Peter Nikolaevich Sorin, un funzionario in pensione dell’esercito russo. La tenuta è gestita da un uomo testardo e irascibile di nome Shamrayev.
Tutti coloro che soggiornano presso la tenuta sono invitati alla rappresentazione di un’opera teatrale che Konstantin, figlio di Irina, ha composto e diretto e che Nina, aspirante attrice, ha interpretato. Il primo atto mostra anche diverse situazioni triangolari: il maestro di scuola Dorn, un mite professore, ama Polina, la figlia alcolizzata e depressa dell’amministratore di proprietà. Polina è innamorata di Konstantin che corteggia Nina.
Irina decide di andarsene mentre Nina indugia dopo che il gruppo se ne va e Konstantin le consegna un gabbiano che ha appena ucciso. Nina è inorridita dal regalo. Konstantin vede Trigorin, scrittore affermato, avvicinarsi a lei e, provando gelosia, si allontana. Poi, vedendo il gabbiano morto, immagina come potrebbe farne il soggetto di un racconto: “Un soggetto per un breve racconto… Sulla riva di un lago vive sin dall’infanzia una giovane ragazza come lei; ama il lago, come un gabbiano, ed è felice, libera, come un gabbiano. Ma giunse un uomo per caso, la vide e, per passare il tempo, la rovinò, come questo gabbiano”. Konstantin tenta il suicidio sparandosi alla testa, ma il proiettile ha sfiorato solo il cranio. Nina trova Trigorin e gli offre un medaglione come segno di attaccamento, sul quale è inciso il riferimento di una frase di uno degli scritti di Trigorin: “Se non hai mai bisogno della mia vita, vieni e prendila”. Irina, seguita da Sorine, mentre è intenta a cambiare la benda a Konstantin, quest’ultimo denigra Trigorin, provocando l’ira funesta della madre. Due anni dopo, in una stanza allestita come studio di Konstantin,
Polina, divenuta moglie di Dorn e madre di un bambino, nutre ancora amore per Konstantin. Nina, mai diventata un’attrice affermata, e Trigorin hanno vissuto insieme per un periodo a Mosca, dalla loro unione è nato un bambino ma è morto però durante l’infanzia, poi è tornato da Irina.
Konstantin ha pubblicato diversi racconti, ma è sempre più depresso.
Dopo che il gruppo si avvia per andare a cena, Nina appare, entra e racconta a Konstantin la sua vita negli ultimi due anni. Inizia a paragonarsi al suo gabbiano ucciso, dichiara di essere un’attrice e che ha dovuto viaggiare con una compagnia teatrale di secondo piano dopo la morte di suo figlio.
Konstantin la prega di rimanere con lui, ma lei se ne va.
Sconsolato, Konstantin strappa il suo manoscritto prima di lasciare la stanza in silenzio. Uno sparo si ode: Konstantin si è appena ucciso.
Un gabbiano danza leggiadro sulla scena: è Konstantin, finalmente libero dal mal d’amore.
L’adeguata scenografia è di Damiano Scavo, gli appropriati costumi di Maria Rosa Judica, luci Coco Service, disegno luci di Marco Laudani, aiuto regia Manuel Giunta, assistente alla regia Bernadette Giunta, direttore di scena Riccardo Zappalà, trucco Anna Rita Prezzavento e Sabrina Rondine
Produzione Associazione Proscenio.
Sergio Campisi, nelle sue note di regia, scrive: “Nel 2016 rimasi affascinato da questa storia che, seppur tragica, era piena di umanità. E’ una storia di fallimenti e delusioni, ma anche di speranze e rinascita. Ho cercato di rivisitare il testo di Cechov in chiave positiva esaltando le fragilità umane dei personaggi. La speranza è che lo spettatore possa ritrovarsi in loro e condividere la ricerca di Kostja, di Nina e degli altri personaggi di trovare la forza di andare avanti, nonostante le difficoltà”.
Ne “Il gabbiano” la libertà è nel potere delle parole; l’infelicità del non essere apprezzati è la gabbia dell’amore. Una buona fonte di felicità è scegliere di seguire la propria vocazione naturale e, non avere la piena consapevolezza del proprio talento è sempre fonte di inadeguatezza e mal di vivere.
Il coraggio sta nel saper osare e nel saper accettare le scelte altrui.
L’adattamento che abbiamo applaudito, rivisitato da Sergio Campisi e Roberto Costantini, è apprezzabile: ne riconosciamo il coraggio e lo sforzo proprio per la difficoltà e la complessità del testo.
L’interpretazione degli attori in scena, ben diretti ed affiatati, risulta gradevole ed idoneo.
Il giovane Amedeo Amoroso è in scena Konstantin Treplev, Margherita Malerba è Nina, Salvatore Intorre (Trigorin), Silvana Lanza è la dolce beona Polina.
Il cortese ed educato maestro Dorn è ben interpretato da Manuel Giunta. Mirko Marotta è Sorin. L’anziano proprietario della tenuta Jacov reca il volto di Giorgio Piccione, a nostro parere troppo giovane per il ruolo interpretato.
Soave e leggiadro sui suoi passi di danza, nel ruolo del gabbiano è Samuele Moschetto.
L’istrionica attrice Liliana Biglio èassolutamente padrona del suo personaggio, la disinibita, ammiccante Irina, donna altera e di forte carattere . Liliana Biglio si muove sulla scena con grande professionalità e con la disinvoltura di chi il teatro ce l’ha nell’anima.
Fragorosi e meritati applausi finali coronano l’impegno dell’intero cast.
Non so che cosa unisca le parti dell’atomo, ma a legare gli esseri umani sembra sia il dolore.
(Andrew Sean Greer)
s://youtu.be/ux-QoDobAMk?si=oebVoa3rgPXGw9Ia