Una ripartenza per il teatro della zona ionica, voluta ed organizzata con tanto impegno dal titolare dello spazio Multisala di Fiumefreddo in provincia di Catania, Domenico Barbera, insieme alla collaborazione dei diversi artisti e compagnie teatrali etnei che si sono prodigati accogliendo a braccia aperte l’idea oltre all’affiancamento di chi, come lui, ha creduto con fervore ed entusiasmo in un progetto per il popolo ovvero in una proposta tutta all’insegna della cultura siciliana con costi di biglietto e di abbonamento sostenibili proprio per avvicinare un pubblico sia acerbo che colto.
Maria Rita Leotta, attrice raffinata ed eclettica nonché eccellente regista siciliana, ha riproposto all’interno della rassegna teatrale del Multisala Macherione di Fiumefreddo di Sicilia 2023-24, La Centona e Cose di Catania di N. Martoglio. Non è la prima volta che la vediamo cimentarsi in un ruolo da solista e protagonista specie in una realizzazione scenografica e registica, dalla verve comica, drammatica e a volte anche tragica.
In questo lavoro impegnativo, quasi una missione impossibile dal punto di vista della memoria, corredato dalle bellissime ed appropriate musiche originali del Maestro Alessandro Cavalieri, la vediamo oltre che essenzialmente attrice, interprete di diverse situazioni-caratterizzazioni non solo e banalmente di versi poetici in rima e citazioni in lingua dialettale proprie della raccolta del Martoglio. Ricordando che nell’opera, il contenuto è molto vario e diversificato, ne rappresenta le varie sfumature distinguendo il filone popolaresco che descrive il sentire, pensare e agire dei personaggi dei quartieri popolari di Catania, quello lirico che esprime passioni e tormenti suscitati dall’essere femminile, dall’amore di madre e per la madre, dai sentimenti di amicizia, di convivialità, di solitudine e molto altro ancora.
Lo spettacolo svela la sua contemporaneità attraverso la proiezione di immagini che richiamano l’antico, non solo per il bianco e nero; volti di anziani, di comari e di bambini, di quei salareddi, di chi partì per mare, di pescatori, di contadini, di gente umile, nostalgica e mai perduta nella memoria nostra e dei nostri avi per mano di chi ha trascrtitto le varie rimembranze e oggi, anche grazie al teatro, facendo conoscere ai posteri chi siamo e chi siamo stati. Ancora e apparentemente sconosciuti, i luoghi che erano e sono ora divenuti differenti nelle infrastrutture e negli assetti architettonici: borghi marinari e quartieri che manifestano e conservano in sè, tuttavia, i tratti di una civiltà di sacrifici e sofferenza ma dotata di grande magnanimità che è propria della gente di Sicilia.
L’attrice si dimena tra gli oggetti di scena, dati in prestito da Orazio Messina fondatore del Museo degli antichi mestieri di Santa Venerina presso Pro Loco ospitato da uno storico Palazzo del 1924: bummuli malandrini, quartare, attrezzi tipici, ceste e sedie impagliate e quasi non osa spostarli o toccarli come fossero cimeli da preservare. Rende perno della narrazione, una seduta, attorno alla quale ora diviene gatta e femmina, ora una comare invidiosa e “sparrittera” o l’altra ingenua, ora il compare che gioca a carte o che dispiega la faccenda. Nella rappresentazione dei vari personaggi che rendono vivi i versi delle poesie del Martoglio, si avvicendano i brani cantati ed, in ognuno, come in una posa di riflessione sul puntamento della luce. Ferma e austera, Maria Rita Leotta, canta Li me sunetti, Onomasticu, Partennu pri mari, Li salaredda, La ‘Atta e la Fimmina musicate e arrangiate magistralmente ancora una volta dal Maestro Alessandro Cavalieri.
Uno spettacolo difficile, impegnato, ricco volutamente di rimandi alla sicilianità e per forza di cose, ricco d’amore. Da riproporre assolutamente.