Nell’incantevole cornice del Bastione degli infetti di Catania, scroscianti e ripetuti applausi per “Metamorfosi”, scritto e diretto da Nino Romeo da Publio Ovidio Nasone, in scena dal 21 al 24 settembre c.a.
Brividi, brividi di forti emozioni cariche della potenza interpretativa dei tre attori in scena. Il mito che torna sulla terra a parlare agli uomini, spettatori attentissimi al loro racconto di vita.
Il meraviglioso “teatro di parola”, potente, sorprendente, coinvolgente.
Con gli appropriati costumi di Serena Siclari, un’attenta assistenza alla regia di Salvo Valentino, la direzione tecnica di Giuseppe Romeo, progetto grafico di Isabella Gliozzo, foto di Roberto Oliveri. Produzione “Gria Teatro” in collaborazione con “Associazione Comitato Popolare Antico Corso”.
Tre racconti, tre diverse storie di vita che sviscerano problematiche presenti nella società odierna. Tre racconti di una potenza emotiva intensissima.
I protagonisti delle prime due storie del mito sono due giovani di rara bellezza, poco dediti alle passioni amorose ed attratti dall’acqua: Narciso, corteggiato da un’incorporea Eco della quale si sente soltanto la voce soave che ripete le ultime parole, si ritrova in una fonte e, chinandosi, vede la sua immagine riflessa nell’acqua e se ne innamora appassionatamente.
Cerca di raggiungerla, ignorando che colui per cui spasima è la sua stessa persona. Stremato dal desiderio, si distende sull’erba vinto dalla bruciante, incontenibile passione.
Ermafrodito, figlio di Ermes ed Afrodite, ad una fonte si imbatte nella ninfa Salmace che lo desidera subito: vedendolo nudo non sa trattenersi e gli si avvinghia addosso. Ermafrodito cerca di allontanarla molto piccato mentre lei si rivolge agli dei affinché quell’abbraccio non si sciolga mai. Così, la fusione totale dei loro corpi nudi assumono sembianze di uomo e di donna, pur non essendo né l’uno né l’altra.
Il terzo mito ci racconta, pare a noi, quasi in chiave di camilleriana memoria, di Progne e Filomena, figlie di Pandione, re di Atene, legatissime l’una all’altra da un amore profondissimo.
Il padre, per ingraziarsi il potente re tracio Tereo, uomo rozzo, rude e violento, gli da in sposa la primogenita Progne. Tereo conduce Progne nella lontana Tracia. Un giorno Progne implora il marito di portarle l’amata sorella. Tereo, durante il viaggio, s’invaghisce di Filomena e le usa violenza abusando sessualmente di lei.
Il mito di Narciso riporta alla mente i tragici eventi di cronaca dei giorni nostri: il “narcisismo” è argomento di grande attualità, una patologia consapevole o inconsapevole, che colpisce molte menti tossiche rendendo dipendenti affettive vittime bisognose di grande amore ed attenzioni.
Nella vicenda di Progne e Filomena possiamo udire il grido sordo di tutte quelle donne abusate fisicamente e psicologicamente da uomini malati dal “complesso di onnipotenza”, consumati dalla loro stessa voluttà.
Tre attori di grande spessore artistico in scena: Graziana Maniscalco, Matilde Piana e Pietro Cucuzza.
Profondo, appassionato fino a riuscire a trasmettere quel dolore intenso di una passione impossibile; trascinante nel suo gioco col “cerchio della sorgente” dove scorge il viso dell’amore, Pietro Cucuzza è un Narciso impeccabile, bello e sfortunato, conteso e tradito dalla sua stessa essenza.
Graziana Maniscalco, attrice elegante, naturale, molto espressiva è in scena una ninfa del bosco e la sfortunata Progne, sorella di Filomena costretta dal padre a sposare il violento re di Tracia. La sua è un’interpretazione vigorosa, viva, viscerale: nei suoi occhi tutta la rabbia del sopruso e dell’ingiustizia, tutta la disperazione dell’impossibilità di scegliere la vita che si vuol vivere.
L’efficace espressione, l’energia interpretativa della brillante professionalità dell’attrice Matilde Piana, cattura l’attenzione dei numerosissimi spettatori, in particolar modo nel suo divertente racconto del mito di Ermafrodito ma, ancor di più, nella mimata disperazione di Filomena: commoventi le sue lacrime timide nel momento del racconto della spietata violenza subita da parte del cognato raccontata dalla sorella.
Il vero dolore è sempre muto ed è così che l’autore-regista, Nino Romeo lo ha inteso sulla scena.
Grandi applausi sottolineano il successo di quello che possiamo, naturalmente e convintamente, definire il vero Teatro.
“Perché piangi?” – domandarono le ninfe del bosco.
“Piango per Narciso” – disse il Lago.
“Non ci stupisce che tu pianga per Narciso” – soggiunsero. “Infatti, mentre noi tutte lo abbiamo sempre rincorso per il bosco, tu eri l’unico ad avere la possibilità di contemplare da vicino la sua bellezza”.
“Ma ditemi, Narciso era bello?” – domandò il Lago.
“Meglio di te chi potrebbe saperlo? – risposero, sorprese, le ninfe. “In fin dei conti, era sulle tue sponde che Narciso si sporgeva tutti i giorni”.
Il Lago rimase un po’ in silenzio. E infine disse: “Io piango per Narciso. Non mi ero mai accorto che fosse bello. Piango per Narciso perché, tutte le volte che lui si sdraiava sulle mie sponde, io potevo vedere riflessa nel fondo dei suoi occhi la mia bellezza”.
(Oscar Wilde)