Aspettando la fumata bianca, dal conclave un segno di discontinuità
Il gabbiano che ineffabile lascia un cumulo di spazzatura tiberina e si posa in diretta mondiale sul tetto della Cappella Sistina scompiglia la visione di quello che potrebbe sembrare il fermo immagine del comignolo da cui arriverà la fumata per l’elezione del nuovo papa. Lui e gli altri uccelli della colonia vegliano beffardi e un poco tetri sul nostro bisogno compulsivo di sapere. «Perché la fumata tarda tanto?» «Quanti voti sono andati agli italiani?» «Quando è iniziato lo scrutinio? E in che lingua?»
Come sulle maglie di una linea di abbigliamento, il gabbiano potrebbe essere il marchio di una discontinuità. Negli ultimi decenni la nostra condizione di spettatori ci ha visti sempre più immersi in esperienze di visione in cui non solo ogni evento è stato ridotto a immagine da immettere sul mercato, ma anche il suo contorno, l’interstizio, le pause sono state rese fruibili allo spettatore, sempre più ipnotizzato da un flusso inarrestabile che ha il solo scopo di intrattenerci e impossessarsi della nostra attenzione per un tempo quanto più lungo possibile.
Forse è cominciato tutto con i reality o quando abbiamo preteso di introdurre la nostra home camera in sala parto. Poi sono stati violati gli spazi del rito collettivo. A partire da quelli sportivi, non appena abbiamo trovato interessante conoscere quali informazioni si scambiassero i piloti di Formula1 con le scuderie e quali schemi di gioco suggerisse il coach durante i time out nel basket. Ci sono parse irrinunciabili le telecamere fin dentro gli spogliatoi, la divulgazione dell’audio della sala VAR e gli interminabili pre e post partita che riducono l’evento in sé a semplice pretesto, riassumibile in highlights.
E pian piano abbiamo smitizzato anche il resto: gli exit poll che anticipano lo scrutinio e lo rendono quasi irrilevante, la diretta streaming delle consultazioni per formare il Governo, i talent show, le enciclopedie on line aggiornate al secondo, i vari social network che progressivamente abdicano alla loro funzione originaria di mettere in connessione le persone per deviare verso l’intrattenimento dei Reel, dei meme, della realtà virtuale e del videogioco.
Tutto quello che fino a pochi decenni fa era inaccessibile e segreto adesso è alla portata di tutti. E tutti abbiamo familiarità con narrazioni ed eventi che il moltiplicarsi di media consente di spiare dal buco di innumerevoli serrature. Nessuno può privarci del privato.
Il conclave, che pure ha tutti gli elementi di fascino dell’evento che intrattiene (più di cento uomini non più giovani che si riuniscono in uno dei luoghi più belli al mondo, per eleggere la figura spirituale più importante del pianeta che sarà a capo di una religione bimillenaria) produce un’interferenza. L’istinto di scrollare lo schermo del tablet per aggiornare l’immagine fissa del comignolo muto produce l’effetto comico di una abitudine acquisita che non risponde ai comandi. Eppure il comignolo era insieme stop di fotogramma e diretta. E reintroduceva nella fruizione elementi antichi e dimenticati: l’attesa, la pazienza, la noia. Il conclave che si svolge una ventina di metri sotto di lui, quasi covato da un uccello, diventa il simbolo di qualcosa che si svolge separatamente da noi e che si oppone all’intrattenimento infinito della nostra epoca. Con la sua segretezza quasi totale e l’inedita condizione per cui entrambi i protagonisti della fruizione mediatica (i miliardi di spettatori e i 133 cardinali) si ignorano a vicenda, il conclave è la permanenza del senso del sacro nella nostra società. Un evento di cui finalmente ne sappiamo quanto un gabbiano.
Caro Vincenzo, bella riflessione! E te ne pongo un’altra, sulla quale mi arrovello da giorni: perché tutti i media battono sulle difficoltà relazionali fra prelati basate soprattutto sulla lingua? Che fine ha fatto il latino ecclesiastico? Davvero non capisco. Forse mi manca qualche passaggio, eventuali nuovi ordinamenti, ma fra sacerdoti non dovrebbero esistere barriere linguistiche proprio grazie al latino. Che ne pensi?
Grazie sempre per i tuoi scritti.
Mg